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El Polaco fu una delle voci più importanti del tango, elevato a leggenda per il suo peculiare stile intenso e l’interpretazione da attore che diede a molti brani. Considerato uno dei membri autorevoli tra le divinità tanguere alla stregua di Carlos Gardel e Julio Sosa, fortunatamente non ne condivise la stessa drammatica sorte. Dagli esordi con l’orchestra di Kaplun, passando per Salgán, raffinò il proprio stile fino a raggiungere la perfezione con l’orchestra di Troilo “Pichuco”.

Le sfumature espressive della voce ed il peculiare fraseggio sospensivo in leggero anticipo rispetto alle pulsazioni ritmiche sono perfettamente incastrate nello stile avanguardista di Salgán, diventando poi elementi ricorrenti in molte successive interpretazioni di Goyeneche. A titolo di esempio basti ascoltare Alma de loca (1952) e Un momento (1953).

Quando nel 1956 Troilo chiamò Goyeneche nella propria orchestra, El Polaco si trovò di fronte al miglior maestro di cantanti che ebbe il tango. Con Pichuco Goyeneche raggiunse uno stile che non aveva nulla a che vedere con la tradizione gardeliana dei cantanti, avvicinandosi invece al modello recitativo di Frank Sinatra. Pichuco fu il maestro delle pause e dei silenzi e Roberto Goyeneche ne seppe interpretare con la voce la stessa sostanza emotiva che Troilo esprimeva con il bandoneon. El Polaco cantò le virgole, i punti e tutte le pause del testo, fino a che l’elemento principale non diventava l’effetto musicale del cantanto piuttosto che la chiarezza della dizione di ogni singola parola. Il risultato finale è la più grande cadenza drammatica baritonale che il tango conobbe.

La sintesi del genio artistico di Goyeneche si trova in tre brani che fecero la storia ed il successo dell’orchestra di Troilo nel periodo post Epoca de Oro, ossia Garúa (1962), La ultima curda (1963) e Sur (1971).

Fonti consultate